Oltre l'Antropocentrismo: Imparare a Vedere e Sentire il Mondo Diversamente
- A Metà Strada
- 3 apr
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 4 apr
Viviamo in un mondo che ruota attorno al nostro sguardo umano.
Ci sembra normale, perché è l’unico che conosciamo: interpretiamo tutto attraverso i nostri pensieri, le nostre emozioni, i nostri bisogni.
Lo facciamo anche con i cani, spesso in modo inconsapevole, senza renderci conto di quanto questa visione sia limitata e limitante.
Ci illudiamo di conoscerli, ma spesso li osserviamo con una lente distorta, filtrata da quello che vorremmo vedere e non da quello che realmente sono.
La nostra tendenza è quella di proiettare continuamente: attribuiamo pensieri, emozioni e intenzioni che appartengono più a noi esseri umani che ai cani.
Li vediamo come compagni di vita, amici fedeli, confidenti, a volte persino come figli.
E, senza accorgercene, li carichiamo delle nostre aspettative, dei nostri vuoti, delle nostre fragilità.
Ci aspettiamo che ci “capiscano”, che ci “salvino”, che colmino le nostre solitudini.
Quando siamo tristi, vogliamo che ci confortino.
Quando abbiamo bisogno di sentirci importanti, cerchiamo nei loro occhi una conferma.
Ma tutto questo, è davvero sano nella nostra relazione con loro?
I cani non vivono nel passato e nemmeno nel futuro. Non si portano dietro rimpianti o paure su quello che sarà. Esistono adesso.
Osservano, sentono, percepiscono il mondo nel momento presente, senza sovrastrutture. E forse è proprio qui che sta il loro dono più grande: nel ricordarci che anche noi possiamo fare lo stesso. Eppure, per noi non è così semplice.
Lasciarsi andare, smettere di controllare, accettare che le cose accadano senza il nostro intervento, ci mette a disagio. Siamo cresciuti con l’idea che dobbiamo sempre sapere, sempre spiegare, sempre dirigere. E così, quando ci troviamo di fronte a un cane che si muove nel mondo con spontaneità, con libertà, con un senso del tempo completamente diverso dal nostro, ci sentiamo spaesati.
La verità è che quasi, ci fa paura.
Perché ci costringe a rallentare.
A smettere di parlare e iniziare ad ascoltare.
A fidarci di un altro essere vivente senza il bisogno di avere tutto sotto controllo.
Forse è questa la sfida più grande: accettare di non essere sempre noi quelli che insegnano, ma quelli che imparano.
Imparare a stare nel presente senza volerlo forzare. Imparare a comunicare senza parole, ma con il corpo, con la respirazione, con la nostra energia.
Imparare a vedere senza giudicare, ad accogliere senza pretendere, a camminare accanto a loro senza il bisogno di guidare sempre la strada.
E quando finalmente ci concediamo questo lusso, quando smettiamo di voler correggere, aggiustare, dirigere, accade qualcosa di incredibile.
Iniziamo a sentire davvero il nostro cane per quello che è.
Non più un riflesso delle nostre ferite, ma un individuo con un suo mondo sensoriale, un suo linguaggio, un suo ritmo.
E allora possiamo accogliere ciò che arriva, senza volerlo modellare a nostra immagine e somiglianza.
Forse è questo il vero cammino con i nostri cani: non insegnargli a essere come noi, ma lasciarci trasformare da ciò che sono.

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